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Benvenuto ai lettori di fataturbina

La verità esiste per il saggio,
la bellezza per il cuore sensibile,
ENTRAMBE
si appartengono.

L.van Beethoven

martedì 26 gennaio 2010

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I primi studi sulle risposte emotive alla musica risalgono al 1936, quando la psicologa e musicologa Kate Heiner dimostrò che vi sono due elementi essenziali che il nostro cervello utilizza per elaborare una risposta emozionale alla musica: il MODO, cioè la tonalità (Maggiore/minore), e il TEMPO, cioè la velocità di esecuzione (Veloce/lento).

Si è così notato che dalla combinazione del modo e del tempo l’uomo ricava delle emozioni che possiamo definire UNIVERSALI.
La chiave di lettura è la seguente:

Modo maggiore/tempo lento= serenitàModo maggiore/tempo veloce= allegria, euforia, esaltazioneModo minore/tempo lento= tristezza, malinconiaModo minore/tempo veloce= paura, dramma, angoscia
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Che queste risposte emotive siano comuni a tutti, è dimostrato da un altro importante esperimento compiuto in tempi più recenti all’università di Montreal da Isabelle Peretz: questa studiosa ha registrato le modificazioni indotte dalla musica su vari parametri fisiologici, come la pressione del sangue, la frequenza cardiaca e la conduzione elettrica della pelle (la cosidetta reazione elettrodermica).

In questo esperimento un gruppo di soggetti è stato sottoposto all’ascolto di diversi brani musicali che erano classificati come allegri, sereni, paurosi, tristi.

Ebbene, si è dimostrato che le musiche producevano il medesimo effetto in tutti gli ascoltatori, indipendentemente dal giudizio soggettivo sul tipo di emozione suscitata.

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Ad esempio i brani classificati come paurosi erano quelli che determinavano la maggiore reazione cutanea, caratterizzata da un rilevante incremento della sudorazione.

Il fatto che queste risposte fisiologiche siano indipendenti dai giudizi soggettivi dimostra che l’ascoltatore non è necessariamente consapevole dell’effetto che la musica esercita su di lui e ci fa intravedere quale potere la musica abbia sui nostri comportamenti.

venerdì 22 gennaio 2010

Lascia che l'Anima rimanga fiera e composta difronte a un milione di Universi (W. Whitman)

domenica 17 gennaio 2010

S. Pietroburgo.wmv

S. PIETROBURGO.....Una città russa ma che sembra Italiana al 100%

RUSSIA-MOSCA.wmv

QUESTE FOTO......tra le tante che ho fatto queste mi piacciono molto e posso dire che tutto sommato,Mosca mi è piaciuta di più di S. Pietroburgo

sabato 16 gennaio 2010

STELLINE GIALLE

Musica di stelle in diretta da radiotelescopi

Prima del concerto Il nero delle stelle, raccontato da Margherita Hack

16 gennaio, 16:48
(Fonte NASA-CXC-PSU-G.Pavlov et al.)(Fonte NASA-CXC-PSU-G.Pavlov et al.)
Musica di stelle in diretta da radiotelescopi

ROMA - Prima la "voce" della stella più vicina, il Sole, con il fruscio del vento solare e i crepitii delle zone più attive, e poi il suono regolare come un battito del cuore emesso da due stelle molto più lontane giunte al termine della loro vita: la musica delle stelle è stata trasmessa in diretta da un radiotelescopio nell'Auditorium Parco della Musica di Roma nella prima italiana del concerto "Il nero delle stelle", raccontata dall'astrofisica Margherita Hack e interpretata da sei percussionisti.

"Non è la prima volta che partecipo a spettacoli scientifici e lo faccio volentieri perché penso che sia sempre un bene far capire che cos'é la scienza", ha detto Margherita Hack a margine del concerto, uno degli eventi di punta del Festival delle Scienze di Roma, prodotto dalla Fondazione Musica per Roma con la Finanziaria di sviluppo della Regione Lazio (Filas) e Telecom Italia. Dopo ieri sera, lo spettacolo è in programma anche questa sera.

I sei percussionisti del Parco della Musica Contemporanea Ensemble (Pmce), dislocati ai lati del teatro, hanno letteralmente avvolto il pubblico con la musica scritta da Gerard Grisey, combinando ritmi, tonalità e note con i suoni emesse dalle stelle Vela e 0329+54, trasmessi in diretta nel teatro dal radiotelescopio di Medicina (Bologna) dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Entrambe le stelle sono pulsar, ossia ciò che resta quando una stella ha completato il suo ciclo vitale ed è esplosa in una supernova.

"E' come se fosse una bomba che, anziché distruggere, diffonde nell'universo elementi fondamentali per formare altri corpi celesti e la vita stessa", ha spiegato Margherita Hack, che allo studio dell'evoluzione stellare ha dedicato la sua vita. Quello che resta dopo queste esplosioni è un nucleo molto denso e piccolo, dal diametro di appena 10-20 chilometri, ma così compatto che un cucchiaino della materia che lo compone peserebbe tonnellate. Il nome di questi corpi celesti, pulsar, deriva dalla straordinaria velocità alla quale ruotano. Ruotando, emettono ogni tipo di radiazioni, comprese le onde radio.

Questi suoni, sotto forma di crepitii regolari, sono diventati musica e le due pulsar sono gli strumenti da cui provengono, distanti dalla Terra centinaia di anni luce. Voci lontanissime che parlano del valore della scienza, ha detto l'astrofisica, e che evocano e tante domande aperte sulla conoscenza dell'universo: "le principali - ha detto Hack - riguardano l'esistenza di pianeti esterni al Sistema Solare che siano simili alla Terra, scoprire che cosa sono la materia oscura e l'energia oscura che occupano il 95% dell'universo, capire come si evolve l'universo".


La musica delle stelle in diretta

Concerto evento di punta del Festival delle Scienze di Roma

16 gennaio, 20:38
La musica delle stelle in diretta(ANSA) - ROMA, 15 GEN - La musica delle stelle e' stata trasmessa in diretta da un radiotelescopio nell'Auditorium Parco della Musica di Roma. E' stata la prima italiana del concerto 'Il nero delle stelle', raccontata dall'astrofisica Margherita Hack e interpretata da sei percussionisti. 'Partecipo volentieri a spettacoli scientifici perche' penso che sia sempre un bene far capire che cos'e' la scienza', ha detto la Hack a margine del concerto, evento di punta del Festival delle Scienze di Roma.

1. Handel: Music for the Royal Fireworks (HWV 351)

HAENDEL GEORG FRIEDERICH(HALLE 1685-LONDRA 1759)

giovedì 14 gennaio 2010


..Il libro più piccolo del mondo, pubblicato in 30 copie dalla casa editrice Die Ghestalten Verlag; misur record: 2,4 x 2,9 mm.
Nella foto un millepiedi (classe Diplopoda) interessato al libro.



Firenze, Caravaggio e soci e quel morto che non c'è

FIRENZE - Il 25 marzo non è un giorno qualunque per Firenze: è il primo dell'anno, dedicato all'Annunciazione. Naturalmente dell'antico calendario fiorentino. Ma è anche il primo giorno di "Anno ad arte" con le mostre 2010 della soprintendenza e Polo museale fiorentino. E non potrebbe incominciare con migliore presentazione: il profilo di una giovane donna del Botticelli, tutta trecce e treccine, ciocche bionde e mosse, nastri rossi e fili di perle che il maestro aveva sperimentato nel volto della più pudica delle Veneri. Scelta doverosa, il 2010 è il quinto centenario della morte di BotticelliLa giovane donna, presentata da Cristina Acidini, a capo della soprintendenza speciale per il patrimonio storico-artistico e il polo museale di Firenze, introduce la prima mostra dedicata ai cammei e intagli dei Medici. Segue Caravaggio nell'anno del quarto centenario della morte, insieme ai caravaggeschi presenti o attivi a Firenze. Poi l'apertura del luogo che nel Rinascimento era "il più intimo e protetto", la camera degli sposi. Dall'amore e vita alla morte, con la mostra più originale del programma, centrata sui dipinti tolti dai depositi e restaurati che rifanno il "funerale in effigie" celebrato dai Medici per l'assassinato Enrico IV re di Francia, marito di Maria dè Medici. E l'archeologia: da Firenze al Mediterraneo antico per l'arte, la scienza e i miti del vino. Chiude l'anno una scoperta: quella dei tre grandi bronzi restaurati di Giovanfrancesco Rustici, forse il vero allievo ed erede di Leonardo nella scultura, tolti a coronamento della porta Nord del Battistero di San Giovanni. Bronzi che non torneranno sulla porta. Queste mostre e quelle di altre organizzazioni sono possibili ancora una volta per il puntello economico dell'Ente Cassa di risparmio di Firenze che ha stanziato per tutte quattro milioni di euro, e per "Firenze Musei".
La giovane donna botticelliana è la cosiddetta Simonetta Vespucci ed è una presenza di non poco conto perché Simonetta lascerà Francoforte, lo Städel Museum, dove fino al 28 febbraio è uno dei pezzi pregiati della mostra dedicata a Botticelli. Ma la tavoletta non poteva mancare: Simonetta ha al collo una gemma, una corniola, il cosiddetto "Sigillo di Nerone", con l'orrenda punizione (lo scorticamento) inflitta da Apollo a Marsia e che nel Quattrocento è stata dei Medici. E la mostra si intitola proprio "Pregio e Bellezza. Cammei e intagli dei Medici" (dal 25 marzo al 27 giugno), al Museo degli Argenti a Palazzo Pitti. A cura degli specialisti Ornella Casazza e Riccardo Gennaioli (catalogo Sillabe).

Una selezione di pezzi di "eccezionale qualità" di quel tesoro di incisioni su pietre dure e preziose che dal Quattrocento cominciò ad essere messo insieme dai Medici. Pezzi che possono far capire le somme folli che papi, regnanti, principi, erano pronti a pagare, ben superiori a quelle per capolavori di pittura. Era la preziosità del materiale. La perfezione perché non venivano accettate lavorazioni imperfette. La sfida della durezza dei materiali e delle dimensioni infinitesimali che ne moltiplicava la rarità. I poteri magici di certe pietre e i poteri simbolici dei soggetti. Regali ideali fra i potenti e pegni ideali per ottenere finanziamenti. Le gemme dei Medici ispirarono numerosi artisti, anche Ghiberti, Donatello e Botticelli. Come si vedrà in mostra in dipinti, sculture e disegni, codici miniati, medaglie.

"Caravaggio e caravaggeschi a Firenze" (dal 22 maggio al 17 ottobre), è diviso fra Galleria Palatina di Palazzo Pitti e Uffizi, ma la mostra è unica come unico è il catalogo (Giunti-Sillabe). I 108 dipinti, se saranno confermati i prestiti, per numero e dimensioni hanno bisogno di spazio e avranno spazio, divisi più o meno equamente fra le sedi. Antonio Natali, direttore degli Uffizi, curatore della mostra insieme a Stefano Cascìu e Gianni Papi, ha detto che nella parte degli Uffizi ci saranno tre opere per sala. Nella prima la "Medusa" del Caravaggio, la terrificante "rondella" dipinta su di una tela ingessata, stesa su di uno scudo rotondo di forma convessa, di legno di pioppo molto leggero, uno scudo da parata. Un capolavoro fragilissimo che Natali non presterà mai.

Ci saranno i dipinti realizzati a Firenze da artisti che vi hanno soggiornato: Artemisia Gentileschi ("Giuditta che decapita Oloferne"), Battistello Caracciolo e il fiammingo Theodor Rombouts, "il cui soggiorno - ha detto Gianni Papi-, spesso è dimenticato, e la mostra cercherà di valorizzare questo episodio". E i dipinti conservati a Firenze dei pittori che parteciparono alla commissione della cappella Guicciardini in Santa Felicita cioè Cecco del Caravaggio ("Resurrezione di Cristo" da Chicago), Gerrit Honthorst e Spadarino. Della cappella, progettata, ma mai completata, "sarà proposta una ricostruzione virtuale". Di "Honthorst penso che esporremo l''Adorazione dei pastorì per l'altare Guicciardini" - ha previsto Papi -. La tela è una delle opere riemerse dai lacerti ai quali l'aveva ridotta la bomba mafiosa del maggio '93. Ancora, le opere di artisti "cari ai Medici, come i senesi Rutilio Manetti e Francesco Rustici". Alla fine del percorso degli Uffizi, in quattro sale, saranno esposte opere di artisti fiorentini (Commodi, Fontebuoni, Boscoli, Martinelli, eccetera) che "mostrano qualche segno di ricezione del movimento caravaggesco, pur non essendo i loro autori caravaggeschi veri e propri".


Gli altri due dipinti di Caravaggio degli Uffizi ("Bacco" e il "Sacrificio d'Isacco") si uniranno nella Sala Bianca di Palazzo Pitti ai tre Caravaggio della Galleria Palatina. Il "Bacco", ritratto di un "pischello" romano dalla carne bianca e le labbra tumide, l'espressione malinconica. Il "Sacrificio di Isacco", ancora un "pischello" romano riccioluto, ma con il volto in primissimo piano, che urla per il terrore del coltello del padre vicino alla gola prima che l'angelo lo fermi. Il "Bacco" e il "Sacrificio" andranno prima a Roma, alle Scuderie del Quirinale, dove faranno un figurone nella mostra considerata ufficiale del quarto centenario che si aprirà il 20 febbraio, novità dell'ultimo minuto (fino al 13 giugno). Quindi torneranno a Firenze per l'apertura della mostra il 22 maggio. Alla Palatina trovano "Cavadenti", "Amorino dormiente" e il "Cavaliere di Malta" (quest'ultimo dagli Appartamenti reali).La "Medusa" e il "Bacco" sono i "primi folgoranti dipinti del Caravaggio che il cardinal Del Monte donò al granduca Ferdinando I. Dopo di loro giunsero a Firenze pitture e pittori che fecero della città una 'capitale caravaggesca'". Ci saranno i caravaggeschi collezionati dai Medici e dalle istituzioni storiche fiorentine. Manfredi, Ribera, Cavarozzi ("San Gerolamo con due angeli"), Vouet, Baburen, Regnier, Valentin, eccetera.
Alla Galleria dell'Accademia (dall'8 giugno all'1° novembre) "Virtù d'amore" introduce all'universo privato delle camere nuziali del Quattrocento fiorentino. Sono scrigni ricoperti di dipinti, pieni di cassoni per il corredo e spalliere, di deschi offerti in occasione dei parti. Sono opere di grandi maestri o di pittori "abili e piacevoli", specializzati in queste scene colorate e di contenute dimensioni, a sviluppo orizzontale. Ispirate alla mitologia e alla storia antica, alle opere letterarie per "mettere in scena" modelli "di virtù e storie d' amore, fatti piacevoli e tragedie", sempre per "istruzione e ammonimento degli sposi", per instillare nella donna "virtù di obbedienza e abnegazione". Modello di virtù femminile, di tragico amore paterno e insieme condanna di chi governa con dispotismo, sono concentrati nella "Storia di Virginia Romana" di Botticelli. Fra i cassoni nuziali il più famoso, il cosiddetto "Cassone Adimari", piuttosto un pannello di spalliera. Raffigura una "Scena di danza" con cinque coppie eleganti che si muovono al suono di una orchestrina, una miniera di informazioni sulla vita fiorentina e i costumi del Quattrocento. Autore è il fratello di Masaccio, Giovanni di Ser Giovanni detto lo Scheggia. E così fra i deschi da parto il tondo del "Trionfo della fama" sempre dello Scheggia (dal Metropolitan). Molto probabilmente festeggia la nascita di Lorenzo il Magnifico nel 1449. Dirige la mostra Franca Falletti (catalogo Giunti editore).

Assolutamente unica la mostra "Parigi val bene una messa! L'omaggio dei Medici a Enrico IV re di Francia" (dal 15 luglio al 2 novembre al Museo delle Cappelle Medicee). Con il titolo da rettificare: "Parigi val bene un funerale, anche in effigie!" Nel 1600 Enrico IV re di Francia e di Navarra sposò per procura Maria dè Medici, nipote del granduca Ferdinando I. Il 14 maggio 1610 il re veniva assassinato a Parigi e il 16 settembre il nuovo granduca Cosimo II lo celebrava a Firenze nella basilica di San Lorenzo facendo dipingere agli accademici fiorentini una serie di monocromi (ciascuno 210 per 270 cm) con le imprese del re e i fatti importanti della sua vita. Una "serie unica al mondo", sopravvissuta alla vita effimera di queste opere, tirata fuori dai depositi degli Uffizi e restaurata, osserva Monica Bietti che cura la mostra con Francesca Fiorelli, Paul Mironneau (catalogo Sillabe).
L'antica moda dei "funerali in effigie" ebbe a Firenze "un nuovo avvio" con quello per Michelangelo. La moda si diffuse poi in tutta Europa, ma solo a Firenze si conservano i dipinti eseguiti in quelle occasioni. "Questo grazie alla lungimiranza dei Medici che affidavano sempre tutti i beni artistici alla 'Guardarobà che pensava a riutilizzare il materiale distribuendolo nei vari edifici e spazi".Delle 26 tele iniziali per la cerimonia dedicata ad Enrico IV - precisa Monica Bietti -,"ne abbiamo reperite 19 (forse un'altra, ma lo stato è comatoso) che saranno in mostra. Erano collocate in alto nella navata di San Lorenzo fra drappi neri, scheletri, virtù scolpite e dipinte, stemmi e armi. Il tutto reso 'macabro e magnificò dal gran numero di candele". I monocromi di Enrico IV "sono quasi tutti grigio-nero-bianco a olio su tela. Gli autori sono una "pleiade finora poco nota di pittori che ha preso forma visibile attorno a celebrità quali l'Empoli (Jacopo Chimenti), il Curradi, il Poccetti". Alla mostra del 2005 dedicata a Maria c'erano solo due tele e quindi "da 400 anni nessuno ha più visto esposti tutti insieme i monocromi".
Queste attenzioni "post mortem" dei Medici erano naturalmente al servizio delle relazioni internazionali della dinastia. Nel caso di Maria i Medici volevano sottolineare la legittimità della principessa fiorentina diventata regina di Francia, vedova di Enrico, alla reggenza in nome del figlio Luigi di nove anni e della relativa successione al trono col nome di Luigi XIII.

Fra le altre opere della mostra (circa 80 fra ritratti di pittura e scultura, disegni e incisioni, documenti originali, oggetti), spicca un "prezioso bozzetto di Rubens" in collezione privata, per il ciclo di Maria al Palazzo del Lussemburgo: l'arrivo della regina a Marsiglia.
Anche questo è un pluricentenario che cade nel 2010 (la morte di Enrico IV), e allora la mostra è in collaborazione con la Riunione dei musei nazionali francesi ed esordirà (31 marzo-30 giugno) al Museo nazionale del castello di Pau dove il re era nato. La Francia vuole ricordare colui che "aveva riconquistato la stabilità dello Stato".

A pochi giorni di distanza si passa dalla sfera della morte alla sfera della vita anche più sfrenata grazie al "Vinum Nostrum" (dal 20 luglio al 15 maggio 2011, al Museo degli Argenti a Palazzo Pitti). Non c'è solo il "Mare Nostrum", ma il "Vinum Nostrum" perché se l'origine della viticoltura è in Mesopotamia, "straordinario" fu il contributo dei Fenici, navigatori e mercanti, e degli Etruschi per la diffusione della coltivazione della vite nel Mediterraneo e dei Romani per produzione e diffusione del vino su vasta scala. Titolo completo "Arte, scienza e miti del vino nelle civiltà del Mediterraneo antico" con "rilevante influenza" sulla cultura, i costumi sociali, la convivialità, la religione degli antichi. Sculture e vasi in mostra con nascita e diffusione del culto di Dioniso, il "dio della viticoltura, che col dono del vino, allieta il cuore dell'uomo e provvede al benessere e alla felicità". Vastissima, e dalle epoche più remote, le raffigurazioni di divinità, riti e feste del vino. E con la fortuna di aver ereditato Pompei e i suoi vigneti che rivivono sugli affreschi staccati, con i servizi da mensa in argento, le coppe di vetro. Ricostruita una "cella vinaria" con gli attrezzi della vigna, le anfore per il trasporto, i barili, i cesti per la vendemmia, carri e attrezzature. La mostra (catalogo Giunti Editore) è una collaborazione fra soprintendenza-polo museale e il Museo di storia della scienza che in primavera avrà il nuovo allestimento e cambierà nome in Museo Galileo.

L'ultima mostra dell'"Anno ad arte", "I grandi bronzi del battistero. Rustici e Leonardo" al Bargello dal 10 settembre al 10 gennaio 2011, segna un fatto storico e non positivo anche se inevitabile. Le tre porte del battistero di San Giovanni non sono più sormontate (e non lo saranno più) da originali. Sulla "Porta del Paradiso" il gruppo di marmo è stato sostituito da tempo da copie. Sulla porta Sud di Andrea Pisano dal 1571 i tre bronzi della "Decollazione del Battista" sono stati restaurati e presentati in mostra nello stesso Bargello fino al settembre 2008, facendo scoprire al pubblico Vincenzo Danti, un grande scultore del Cinquecento. Il gruppo sarà sostituito da copie in bronzo e gli originali sono in attesa di trovare spazio nel Museo dell'Opera del Duomo (proprietaria dei bronzi del battistero) e soprattutto nel futuro nuovo Museo dell'Opera. Ora tocca ai tre bronzi dal 1511 sulla porta Nord, la prima del Ghiberti, con la "Predica del Battista" di Rustici, capolavoro del primo Cinquecento. E sarà la seconda scoperta di un grande artista, per il pubblico e per gli studiosi dato che si tratta della prima mostra in assoluto dedicata a Rustici. Con i grandi bronzi ci sarà "una rassegna quasi completa delle sue opere (invetriati, marmi, terrecotte, dipinti, bronzi di medie e piccole dimensioni)". Dal Bargello si sposterà al piano terra della mostra la "monumentale pala robbiana del 'Noli me tangere'" e la "Zuffa di cavalli e cavalieri" in terracotta, "ispirata alla 'Battaglia di Anghiari' di Leonardo".

Leonardo, ecco l'altro aspetto affascinante della mostra perché Rustici fu di Leonardo allievo, collaboratore e amico (erano vicini di casa e chi dice nella stessa casa), nella scultura "forse il suo erede più discreto" osserva Cristina Acidini. Leonardo partecipò alla progettazione e realizzazione del gruppo del Battistero? Per il soprintendente "la nuova visibilità delle splendide statue permette di approfondire l'ipotesi del ruolo di Leonardo da Vinci, mentore del giovane scultore. Ipotesi che appare ormai molto convincente". Il contributo di Leonardo potrà essere dimostrato grazie al confronto con autografi leonardeschi.
Il restauro è stato curato dall'Opera di Santa Maria del Fiore col generoso contributo dei "Friends of Florence", la stessa benemerita associazione intervenuta per i bronzi di Vincenzo Danti. Al Bargello i bronzi di Rustici arriveranno dopo una doppia mostra negli Usa, ad Atlanta e a Los Angeles (al Museo Getty). La mostra fiorentina è a cura di Beatrice Paolozzi Strozzi, direttore del Bargello, e di Tommaso Mozzati e di Philippe Sénéchal, autori di due recenti monografie su Rustici. Il catalogo è Giunti.




Goffredo Silvestri (6 gennaio 2010)

mercoledì 13 gennaio 2010

denuncia del grande direttore d'orchestra in un'intervista all'Adnkronos
"In Cina invece scommettono su quello che noi italiani stiamo esaurendo"

Muti: "L'Italia ha abdicato
alla sua storia musicale"

"Abbiamo perso la capacità di sentire il 'bello', che per secoli abbiamo dato al mondo"


Riccardo Muti

L'ITALIA ha abbandonato la musica al suo destino, come se fosse un fenomeno obsoleto, mentre nel resto del mondo, compresi i Paesi emergenti a cominciare dalla Cina, c'è rispetto e interesse per la cultura occidentale. La denuncia viene dal maestro Riccardo Muti.

"L'Italia ha abdicato alla sua storia culturale e musicale in particolare, a causa di una concezione generale della cultura che non riguarda solo i politici di oggi, ma è una storia lunga nel tempo", dice il grande direttore d'orchestra italiano in un'intervista all'agenzia Adnkronos.

"Noi italiani -aggiunge- abbiamo dimenticato che la musica non è solo intrattenimento, ma è una necessità dello spirito. Questo è grave perchè significa spezzare delle radici importanti della nostra storia".

Muti punta il dito contro alcune "trasmissioni televisive dove la musica e soprattutto l'opera lirica, vengono presentate come cose obsolete. Così si respingono i giovani invece di interessarli". Al contrario, racconta, "in Cina, dove sono appena stato per dirigere l'orchestra di Shanghai, stanno puntando molto sulla musica occidentale, preparando i giovani musicisti i quali studiano nei conservatori occidentali e poi tornano in Cina per suonare nelle loro orchestre. I cinesi costruiscono nuove sale da concerto e scommettono culturalmente su quello che noi italiani invece stiamo esaurendo. In Italia abbiamo perso la capacità di sentire il 'bello', quel 'bello' che per secoli abbiamo dato al mondo e che adesso non sentiamo più".

(09 gennaio 2010)


SI MIRA A UN RAPPORTO PRIVATO CON IL «SAN GIOVANNI»

E lo sfumato leonardesco
affiora nella penombra

«Guarda il lume e considera la sua bellezza. Batti l’occhio e riguardalo: ciò che di lui tu vedi, prima non era, e ciò che di lui era più non è»

«Guarda il lume e considera la sua bellezza. Batti l’occhio e riguardalo: ciò che di lui tu vedi, prima non era, e ciò che di lui era più non è». Sono parole di Leonardo da Vinci e racchiudono il senso della sua ricerca sul fenomeno della natura elevata a scienza e sul rapporto tra la realtà e la sua traduzione nell’arte. Il San Giovanni che il pubblico vedrà a partire da domani nella Sala Alessi di Palazzo Marino non è solo un giovane dal volto insolitamente imberbe e dal sorriso enigmatico che veste i panni del Battista con folti riccioli ramati, per cui Leonardo ha usato la tecnica degli studi in cui indaga i vortici e le spirali del moto d’acqua; le spalle nude, il torso avvolto in una pelliccia maculata, di leopardo o di lince a seconda delle interpretazioni, e il dito puntato in alto verso la penombra, dove si estende ciò che sta «oltre», rimandano alle teorie elaborate da Leonardo sull’arte della luce nel primo decennio del Cinquecento.

Cominciata a Firenze, dove gli è stata commissionata da Giovanni Benci, marito di Ginevra, ritratta da Leonardo nel dipinto alla National Gallery di Washington, la preziosa tavoletta è stata poi terminata a Milano e risale a un periodo compreso tra il 1508 e il 1513; oggi la tavola è normalmente esposta al Louvre ma per un mese potrà essere ammirata nella città dove Leonardo ha lasciato alcuni tra i suoi capolavori come pittore e come ingegnere, grazie a un’idea di Eni, alla collaborazione con il museo francese e con il comune di Milano. A un anno dal successo della Conversione di Saulo di Caravaggio, l’aspettativa intorno al San Giovanni Battista di Leonardo è grande e trasforma l’iniziativa di proporre al pubblico una sola straordinaria opera in un appuntamento ormai tradizionale, un regalo alla città.

Visitatori in fila in piazza Scala per il Caravaggio nel 2008
«Siamo molto orgogliosi di aver promosso e realizzato questa esposizione, che consentirà alla città di Milano di godere gratuitamente di un’opera unica come il San Giovanni Battista — dicono all’Eni —. Come lo scorso anno per il Caravaggio Eni ha ideato e realizzato quest’iniziativa grazie al partenariato stretto con una delle più importanti istituzioni museali al mondo, quale appunto il Louvre e all’ospitalità della città di Milano, dove questo capolavoro ritorna esattamente 70 anni dopo la mostra realizzata nel 1939 in Triennale».

A Palazzo Marino ora i visitatori potranno riammirarlo, entrando in una sorta di «labirinto iniziatico» con pannelli didattici e un video che ripercorre proprio quella storica mostra, prima di giungere lentamente allo «scrigno della devozione», come lo definisce Elisabetta Greci, che ha pensato l’allestimento nella sala Alessi: «L’opera suscita turbamento, impone un rapporto privato. Per questo ho creato uno spazio raccolto per favorire il dialogo del singolo spettatore con l’opera, enfatizzato dalla musica». Lo spettatore si troverà così a tu per tu con l’universo luminoso e sospeso di Leonardo e della sua pittura, che nell’esposizione sono rafforzati da ciò che resta nascosto per lasciare spazio all’opera. «In tempi di sovrabbondanza sparire è un’ambizione», sottolinea Sandro Goppion, che ha progettato la vetrina che contiene il volto sorridente del Battista, una sorta di capsula trasparente antiriflesso e ad alta tecnologia conservativa: c’è ma non si vede. Così per l’illuminazione di Giuseppe Mestrangelo, che ha messo in risalto la luce stessa della tavola, che galleggia come nel vuoto. Intorno solo penombra per far emergere al meglio l’uso dello sfumato leonardesco, profondo e avvolgente, che il maestro otteneva con particolari effetti di chiaro scuro grazie alle velature sovrapposte per definire le parti in ombra del corpo del Battista.

«Ci sono tanti livelli di lettura di questo quadro sia da un punto di vista artistico e iconografico, che da quello filosofico. È un allegoria del precursore che allude alla divinità—dice Pietro Marani, tra i massimi esperti di Leonardo—. Il San Giovanni del Louvre è simbolo delle teorie dell’arte della luce, ma anche delle sottili ambiguità intellettuali dell’autore che in quest’opera ha voluto rappresentare insieme con il divino gli impulsi più segreti delle pulsioni erotiche e sessuali».

La statua di Leonardo
La guida
«Leonardo a Milano. San Giovanni Battista. Dal museo del Louvre a Palazzo Marino», viene esposto a palazzo Marino - Sala Alessi, Piazza della Scala 2, da domani fino al 27 dicembre. Ingresso libero. Info: tel. 02/4507.6910. Orari: tutti i giorni dalle 11 alle 19.30; giovedì e sabato fino alle 22.30. Catalogo Skira, 144 pagine, 29 euro. La mostra è curata da Valeria Merlini e Daniela Storti ed è promossa e organizzata da Eni con il Comune di Milano e il Louvre. La produzione organizzativa e la direzione sono affidate ad «Aleart progetti d’immagine». Il quadro torna a Milano 70 anni dopo la mostra su Leonardo realizzata nel 1939 alla Triennale che verrà rievocata in una sorta di «labirinto iniziatico» attraverso pannelli didattici e un video.

L’opera

Un particolare del dipinto

Il dipinto su tavola misura 69 centimetri per 57. L’iconografia del Battista è particolarmente legata a Firenze, di cui il santo è il patrono. Secondo alcuni studiosi il dipinto sarebbe stato iniziato a Firenze e terminato a Milano tra il 1509 e il 1510: in questo caso la sua realizzazione sarebbe compresa tra il secondo soggiorno fiorentino dell’artista e l’ultimo a Milano; secondo altri esperti, invece, l’esecuzione risalirebbe tra il 1513 e il 1515. La tavola è citata per la prima volta da Antonio De Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona, che l’ha visto nello studio di Leonardo a Cloux, in Francia, dove il maestro ha trascorso gli ultimi due anni. In seguito Gian Giacomo Caprotti da Oreno detto il Salaì, il «diavoletto», il giovane prediletto del maestro, riporta il dipinto a Milano ma, nel 1630, è a Londra nella raccolta di Carlo I. Comprato all’asta nel 1651 dai francesi Cruso e Térence, è rivenduto al banchiere tedesco Everhard Jarach che, a sua volta, lo cede al re Sole. A causa dei molti restauri e ridipinture, Berenson dubitò della sua autenticità, ma gli esami dei laboratori del Louvre tra il ’54 e il ’62 hanno dimostrato che la tavola è originale.

Rachele Ferrario
24 novembre 2009