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la bellezza per il cuore sensibile,
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si appartengono.

L.van Beethoven

mercoledì 13 gennaio 2010

NEI RITRATTI DI LEONARDO L’INCONTRO STUPEFACENTE TRA GLI STUDI SCIENTIFICI E LA FILOSOFIA PLATONICA

Quegli occhi, una finestra dell’anima

Lo sguardo dei suoi personaggi rivela un mondo nascosto. E ci turba

Un particolare della statuetta di Shiva Ardhanarisvari, risalente al III secolo, scoperta dai portoghesi nel 1509 sull’isola di Elephanta
Di fronte al volto di Shiva, nell’oscurità della grotta di Elephanta in India, Fosco Maraini (in «Segreto Tibet») ricordava, come unico possibile termine di confronto, il nome di Leonardo.

È la stessa profondità, terribile e cosmica, dei volti di Leonardo, in tutti i suoi dipinti, abbozzi e disegni. La «profondità» (o il «rilievo») dell’immagine che emerge da un fondo oscuro ha per lui un significato diverso rispetto ai contemporanei: non solo tecnica pittorica ma simulazione del reale e della vita, resa ancora più efficace dallo «sfumato», l’arte di dissolvere i contorni (i «termini») degli oggetti nell’atmosfera che li circonda.

Un particolare della «Vergine delle rocce» datato 1483-86
«Ciò che non ha termine non ha figura alcuna», scrive Leonardo, che arriva così a superare i confini materiali delle cose per renderle potenzialmente infinite e aperte all’universo, nella metamorfosi continua in altri oggetti e altri corpi. Il San Giovanni è quindi un’immagine in dissolvenza, che un fascio di luce sorprende e avvolge nelle tenebre, in un movimento a spirale che tende verso l’alto, verso l’indice puntato della mano destra. Lo sguardo però resta fisso, rivolto all’osservatore. Uno sguardo «in camera » (si direbbe nel cinema contemporaneo) che marca i passaggi fondamentali della sua pittura: Ginevra de’ Benci, l’angelo della Vergine delle Rocce, la Belle Ferronière, la Gioconda, e infine il San Giovanni. L’analogia più forte è tra l’angelo e il San Giovanni, perché vi si ritrova la stessa combinazione cifrata: sguardo-sorriso-indice. Una rete di segnali che attira e guida nella lettura progressiva delle immagini. Nel San Giovanni, però, il gesto conserva tutto il suo mistero, perché l’indice punta verso l’alto, al di fuori dello spazio chiuso del quadro, e non rinvia a nulla di visibile o comprensibile. Resta allora lo sguardo, quegli occhi che, nel movimento, sembrano continuare a seguirti (come nella Belle Ferronière). Ora, cos’è l’occhio per Leonardo? La «finestra dell’anima», secondo una metafora che dà l’idea del rapporto fra un interno (l’anima) e un esterno (il mondo): come in una canzone di Petrarca, l’anima si affaccia alla finestra e abbraccia il mondo per mezzo della vista, il più nobile dei sensi.
Un particolare della «Vergine con Bambino e Sant’Anna» dipinto nel 1510 circa

Secondo la teoria antica, l’occhio non serviva a ricevere i raggi luminosi, ma era invece la fonte di un fascio di raggi visuali che, come una mano invisibile, raggiungeva l’oggetto, lo toccava, ne accertava la materialità, la forma, il colore. Leonardo, grazie ai suoi studi di ottica e alle ricerche sulla struttura interna dell’occhio, abbandona questa teoria dal punto di vista scientifico, ma forse mai del tutto sul piano estetico e poetico. Entrando nelle sue opere, il nostro sguardo arriva a toccare i corpi, la pelle del viso, le labbra appena arcuate, ne sfiora i contorni sfumati, trema della loro stessa vibrazione. Ma forse avvertiamo lo stesso fenomeno su di noi, quando quei volti ci guardano e quegli occhi si incrociano con i nostri, ed è forse questa una delle ragioni principali del turbamento. Gli occhi dei volti di Leonardo guardano dentro, attraverso e oltre di noi, ci fanno sentire la dissolvenza e l’inconsistenza della materia che ci compone.

Se torniamo allora all’idea della «finestra dell’anima», ci rendiamo conto che è una «finestra» che dà non sull’esterno, ma su un doppio interno: il nostro, e quello di Ginevra, di Lisa, del San Giovanni; e cioè di un interno che è sempre quello di Leonardo, indipendentemente dai soggetti dipinti.

Un particolare de «la Gioconda» del 1503-05
«Ogni dipintore dipinge sé», afferma Leonardo, riprendendo il verso di una canzone del Convivio di Dante. In ognuno di quei volti ha messo qualcosa di sé, ed è sembrato talvolta di poterne riconoscere il dettaglio fisiognomico, al punto di vedere nella Gioconda la filigrana nascosta di un autoritratto segreto. Ed una finestra che dà su un doppio interno è, in fondo, uno specchio.

Ripenso al verso di Baudelaire, «Miroir profonde et sombre». Fra tutti i volti di Leonardo, lo specchio profondo e oscuro è soprattutto quello del San Giovanni, che riflette tutta l’inquietudine dei moderni. Ma a cosa rinvia veramente quel volto, oltre all’universo interiore dell’ultimo Leonardo? Nelle fattezze ambigue di un adolescente effeminato (le stesse attribuibili al viso dell’amatissimo allievo Giangiacomo Caprotti, il Salaì, angelo e demone) è San Giovanni Battista, il profeta del deserto, il Precursore, o piuttosto Dioniso? È un’immagine di devozione religiosa o la rappresentazione di un mito antico rivissuto, come quello di Leda, in tutta la sua forza simbolica? Solo nella seconda ipotesi trova un senso compiuto il dato più evidente e sconvolgente: l’ambivalenza sessuale, il superamento dell’identità di genere. Dioniso è il dio della metamorfosi, della fusione tra uomo e natura, della fusione tra i principi cosmici contrapposti, maschile e femminile.

Nella versione antica del giovane dio ermafrodito si rende visibile il mito platonico dell’androgino, dell’essere originario in cui l’unità non era ancora divisa nelle due entità separate: un mito comune al tempo di Leonardo, attraverso gli insegnamenti di Marsilio Ficino, le traduzioni dei testi ermetici, i Dialoghi d'Amore di Leone Ebreo. Ma verrebbe anche da pensare (tornando aMaraini) a come la stessa figura era concepita nella religione indiana: Shiva Ardhanarisvari, rappresentato in piedi, sorridente, col braccio alzato, fusione perfetta delle metà maschile e femminile. È solo una coincidenza il fatto che una delle sue rappresentazioni più grandiose sia nella grotta dell’isola di Elephanta, presso Mumbai, scoperta dai Portoghesi nel 1509, e creduta allora un’immagine di Dioniso? E che le ultime visioni di Leonardo (che ricorda Elephanta nel codice F) siano legate al mito di Dioniso? Il cosiddetto San Giovanni non è il precursore di un dio, ma un dio che ritorna, l’epifania sorridente dell’androgino originario.

Carlo Vecce
24 novembre 2009

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