NEI RITRATTI DI LEONARDO L’INCONTRO STUPEFACENTE TRA GLI STUDI SCIENTIFICI E LA FILOSOFIA PLATONICA
Quegli occhi, una finestra dell’anima
Lo sguardo dei suoi personaggi rivela un mondo nascosto. E ci turba
Un particolare della statuetta di Shiva Ardhanarisvari, risalente al III secolo, scoperta dai portoghesi nel 1509 sull’isola di Elephanta |
È la stessa profondità, terribile e cosmica, dei volti di Leonardo, in tutti i suoi dipinti, abbozzi e disegni. La «profondità» (o il «rilievo») dell’immagine che emerge da un fondo oscuro ha per lui un significato diverso rispetto ai contemporanei: non solo tecnica pittorica ma simulazione del reale e della vita, resa ancora più efficace dallo «sfumato», l’arte di dissolvere i contorni (i «termini») degli oggetti nell’atmosfera che li circonda.
Un particolare della «Vergine delle rocce» datato 1483-86 |
Un particolare della «Vergine con Bambino e Sant’Anna» dipinto nel 1510 circa |
Secondo la teoria antica, l’occhio non serviva a ricevere i raggi luminosi, ma era invece la fonte di un fascio di raggi visuali che, come una mano invisibile, raggiungeva l’oggetto, lo toccava, ne accertava la materialità, la forma, il colore. Leonardo, grazie ai suoi studi di ottica e alle ricerche sulla struttura interna dell’occhio, abbandona questa teoria dal punto di vista scientifico, ma forse mai del tutto sul piano estetico e poetico. Entrando nelle sue opere, il nostro sguardo arriva a toccare i corpi, la pelle del viso, le labbra appena arcuate, ne sfiora i contorni sfumati, trema della loro stessa vibrazione. Ma forse avvertiamo lo stesso fenomeno su di noi, quando quei volti ci guardano e quegli occhi si incrociano con i nostri, ed è forse questa una delle ragioni principali del turbamento. Gli occhi dei volti di Leonardo guardano dentro, attraverso e oltre di noi, ci fanno sentire la dissolvenza e l’inconsistenza della materia che ci compone.
Se torniamo allora all’idea della «finestra dell’anima», ci rendiamo conto che è una «finestra» che dà non sull’esterno, ma su un doppio interno: il nostro, e quello di Ginevra, di Lisa, del San Giovanni; e cioè di un interno che è sempre quello di Leonardo, indipendentemente dai soggetti dipinti.
Un particolare de «la Gioconda» del 1503-05 |
Ripenso al verso di Baudelaire, «Miroir profonde et sombre». Fra tutti i volti di Leonardo, lo specchio profondo e oscuro è soprattutto quello del San Giovanni, che riflette tutta l’inquietudine dei moderni. Ma a cosa rinvia veramente quel volto, oltre all’universo interiore dell’ultimo Leonardo? Nelle fattezze ambigue di un adolescente effeminato (le stesse attribuibili al viso dell’amatissimo allievo Giangiacomo Caprotti, il Salaì, angelo e demone) è San Giovanni Battista, il profeta del deserto, il Precursore, o piuttosto Dioniso? È un’immagine di devozione religiosa o la rappresentazione di un mito antico rivissuto, come quello di Leda, in tutta la sua forza simbolica? Solo nella seconda ipotesi trova un senso compiuto il dato più evidente e sconvolgente: l’ambivalenza sessuale, il superamento dell’identità di genere. Dioniso è il dio della metamorfosi, della fusione tra uomo e natura, della fusione tra i principi cosmici contrapposti, maschile e femminile.
Nella versione antica del giovane dio ermafrodito si rende visibile il mito platonico dell’androgino, dell’essere originario in cui l’unità non era ancora divisa nelle due entità separate: un mito comune al tempo di Leonardo, attraverso gli insegnamenti di Marsilio Ficino, le traduzioni dei testi ermetici, i Dialoghi d'Amore di Leone Ebreo. Ma verrebbe anche da pensare (tornando aMaraini) a come la stessa figura era concepita nella religione indiana: Shiva Ardhanarisvari, rappresentato in piedi, sorridente, col braccio alzato, fusione perfetta delle metà maschile e femminile. È solo una coincidenza il fatto che una delle sue rappresentazioni più grandiose sia nella grotta dell’isola di Elephanta, presso Mumbai, scoperta dai Portoghesi nel 1509, e creduta allora un’immagine di Dioniso? E che le ultime visioni di Leonardo (che ricorda Elephanta nel codice F) siano legate al mito di Dioniso? Il cosiddetto San Giovanni non è il precursore di un dio, ma un dio che ritorna, l’epifania sorridente dell’androgino originario.
Carlo Vecce
24 novembre 2009
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