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la bellezza per il cuore sensibile,
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si appartengono.

L.van Beethoven

mercoledì 13 gennaio 2010

BIOGRAFIA 1 - LA CITTÀ FU IDEALE PER ESPRIMERE LE SUE QUALITÀ

Dal Verrocchio al Moro: la nascita di un genio

Leonardo e Milano
Un amore in due tempi

Ludovico Sforza detto Il Moro, prima Signore e poi Duca di Milano
Ebbe la fortuna di nascere ad Anchiano, nel comune di Vinci, a una manciata di chilometri da Firenze, ovvero la culla dell’arte rinascimentale; eppure la vita di Leonardo da Vinci è legata a Milano, che allora era la terza città più grande d’Europa, dopo Londra e Parigi, ma che nonostante i suoi quasi duecentomila abitanti, non aveva la vivacità culturale di Firenze. Fanciullo di dolce aspetto, nacque sotto il segno dell’Ariete, il 15 aprile 1452, figlio illegittimo di Caterina e di ser Piero di Antonio, notaio. Il padre, che solo più tardi, dal terzo e dal quarto matrimonio ebbe altri nove figli, lo accolse in casa e verso i 17 anni lo mandò in una delle botteghe più prestigiose, quella di Andrea del Verrocchio. Artista imprenditore tipico della Firenze del suo tempo, questi gestiva un negozio che, grazie ai numerosi collaboratori e apprendisti, forniva di tutto: sculture, corazze, dipinti, oreficerie, cassoni per biancheria e anche la palla in rame dorato per la cupola del Duomo (quarant’anni dopo Leonardo ne serbava ancora memoria e in un appunto scrisse: «Ricordati della saldatura con che si saldò la palla di Santa Maria del Fiore»). Pur venendo quasi subito riconosciuto come uno dei collaboratori più dotati, Leonardo non riuscì però mai a seguire l’esempio del maestro: è vero che nemmeno tre anni dopo il suo ingresso a bottega si iscriveva, nel 1472, nella compagnia dei pittori di Firenze, però per il geniale ragazzo essere imprenditori di se stesso era un impegno caratterialmente impossibile. Continuò dunque a collaborare col Verrocchio e la prima importante commissione autonoma risale al 1478: una pala d’altare per la cappella di San Bernardo in Palazzo Vecchio che Leonardo non consegnò mai. Fu il primo di una lunga serie di lavori incompiuti, tirati per le lunghe, sollecitati e poi passati ad altri che rivela quanto l’artista fosse incapace di gestire il lavoro in modo autonomo e quindi di mantenersi. La Firenze dei piccoli mercanti imprenditori che pagava i lavori alla consegna non faceva al caso suo; ci voleva piuttosto un incarico salariato in una corte, per esempio quella di Milano al cui servizio lavoravano funzionari, uomini d’arme, maestri di caccia, scrittori,musici, cantanti, maestri di danza, artisti, artigiani, nani e buffoni. Alla fine del 1482 Leonardo riuscì a trasferirsi alla corte di Ludovico il Moro, ambizioso uomo d’armi che aveva conquistato la signoria della città senza averne i titoli e che quindi aveva un gran bisogno di una legittimazione sociale che solo il prestigio delle arti poteva offrirgli. Iniziava così nella ricca città lombarda, centro di una fiorente produzione agricola nonché di prestigiose industrie di armi, lane e sete, il primo dei due soggiorni che fecero di Leonardo un «milanese», un artista, cioè, dalla cultura molto diversa da quella fiorentina, umanistica e neoplatonica. Una lettera non autografa contenuta nel codice Atlantico ci rivela che Leonardo si presentò al signore di Milano offrendo i suoi servigi nell’arte militare, nell’architettura e nell’ingegneria. Ma i suoi compiti comprendevano anche la realizzazione di feste con spettacoli, la creazione di automi e meccanismi, l’improvvisazione di favole e motti di spirito e persino l’organizzazione di raffinati banchetti. Il Moro gli attribuì uno stipendio e quando si trovò a corto di liquidi, gli assegnò una redditizia vigna fuori le mura che Leonardo possedeva ancora al momento della morte. Inoltre, come Mantegna alla corte dei Gonzaga di Mantova, anche Leonardo poteva accettare incarichi esterni, il primo dei quali risale al 1483, quando la confraternita dell’Immacolata concezione (il cui culto acquistò una particolare popolarità nella Milano di fine Quattrocento) gli affidò, assieme ai fratelli Evangelista e Ambrogio De Predis, la realizzazione di un polittico per la chiesa di San Francesco Grande al cui centro doveva essere dipinta «la nostra Donna con lo suo giollo», ovvero la tavola che oggi conosciamo come la Vergine delle rocce. È con questo lavoro che Leonardo mette a punto la «prospettiva de’ colori» e la «prospettiva de’ perdimenti», ovvero l’uso di un un’ombra vellutata da cui emergono, grazie alla luce,ma senza durezza e in sottili sfumature di toni, le forme rivelate dalla luce.

Francesca Bonazzoli
24 novembre 2009

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